L’addio al calcio di Andrea Pirlo era di fatto già avvenuto due anni fa, dopo la finale di Champions League a Berlino persa dalla sua Juventus con il Barcellona. Nel New York City FC le condizioni fisiche lo hanno limitato troppo: per una stagione e mezzo si è gestito, andando a scartamento ridotto, ma il suo 2017 è stato vissuto fra infortuni e panchina a volte anche per scelta tecnica di Patrick Vieira (e di Claudio Reyna sopra di lui) che alla fine gli ha preferito Ring, discreto giocatore (è nazionale finlandese) con il non trascurabile pregio di avere 26 anni invece di 38.
Di certo uno dei più grandi talenti nella storia del calcio italiano ha fatto bene a chiudere la carriera lontano dal calcio che conta, quel mondo in cui ha lasciato una traccia indelebile vincendo da protagonista un Mondiale, due Champions League, sei scudetti e mille altre cose. Portando la qualità e il dribbling del trequartista (Simoni vedeva in lui molto di Rivera) nella costruzione del gioco davanti alla difesa, per una intuizione di Mazzone poi sfruttata da Ancelotti, Lippi, Conte e anche da Allegri, che si è preso mediaticamente le colpe del suo addio prima al Milan (2011) e poi dalla Juve anche se in nessuno dei due casi la scelta è dipesa dall’allenatore.
Pirlo è stato un rarissimo caso di baby fenomeno, stella di ogni selezione giovanile fino all’Europeo vinto con l’Under 21 nel 2000, rimasto fenomeno anche nel calcio degli adulti ed è per questo che il suo ritiro è un ottimo pretesto per valutarne la grandezza in prospettiva storica. Le statistiche sono interessanti ma spesso premiano soltanto la longevità: comunque essere il quarto azzurro (fra poco il quinto, visto che De Rossi lo sorpasserà) per presenze nella nazionale maggiore, con 116, non è un dettaglio. In mezzo al campo, se parliamo di creatori di gioco e non di rifinitori, assaltatori, incontristi e di quelli che una volta venivano definiti ‘interni’, ha avuto una carriera paragonabile alla sua soltanto Demetrio Albertini, con menzioni per De Sisti e Giannini. Ma Pirlo è stato chiaramente un’altra cosa e nell’undici italiano di tutti i tempi avrà per sempre un posto fisso. Quanto ai riconoscimenti individuali, si sa che che dipendono dal ruolo o dall’essere il leader di una squadra campione del mondo e d’Europa: i premi del 2006 non gli hanno reso giustizia (stravaganza nella stravaganza non scegliere Buffon invece del pur bravo Cannavaro) e negli altri anni Pirlo di gol ne ha segnati, ma non tantissimi (73 in oltre 23 anni di carriera, di cui 16 su rigore), ed è quindi sempre stato condannato da chi delle partite guarda soltanto gli highlights. Raro caso di fuoriclasse pensante, se non fosse stato obbligato dalle circostanze a stare davanti alla difesa forse non sarebbe diventato Baggio, ma qualcosa di molto simile a Platini. In ogni caso un fenomeno.